Pensate, anche solo per un secondo, allo splendore delle vostre giornate se queste non fossero misurate solamente dal volume di utile monetario che riuscite a produrre, quasi come se il lavoro – qualunque mansione voi svolgiate – sia privo di scopo, anche il più misero, se non quello di aumentare il vostro reddito, la piccola e folle montagna di byte e carta a cui socialmente – e forse erroneamente – abbiamo scelto di attribuire non un valore, ma il valore: assoluto e supremo. Pensate ad uno stato libero che ci renda uomini e non sudditi, in cui i rapporti tra persone non siano dettati e vincolati all’interno di burocratici schemi normativi e legali, ma lasciati alla nostra coscienza, scanditi da una morale che sembra ormai scomparsa, da un animo che dovrebbe saperci guidare ed è invece ridotto ad una semplice appendice di un codice civile. Pesante alle disuguaglianze sociali che ancora divampano all’interno della società moderna, ai continui ritorni di politiche estremiste con evidenti richiami al razzismo – se non ad un vero e proprio nazismo 2.0 di seconda generazione. E poi pensate, anzi pensiamo tutti insieme, a quanto rendiamo ridicola la nostra vita: la sommatoria di un’infinita rincorsa all’accumulo di beni, una gara sociale in cui viviamo inghiottiti nell’agonismo e distaccati da qualsiasi rapporto con la natura, tanto da non conoscere nemmeno più l’origine – una storia anche vaga – di quello che mangiamo, dei materiali che compongono le nostre case, delle leggi che governano un universo materico che no, non è all’interno dello schermo del vostro pc, ma è – sino a prova contraria – la sede naturale in cui l’uomo ha vissuto per milioni di anni…

Troverete tutte queste riflessioni, e molto altro ancora, tra le pagine di Uomini non sudditi di Henry David Thoreau, piccolo volumetto agile che, nel suo centinaio abbondante di pagine, raccoglie per i tipi di Piano B una manciata di saggi dell’autore, tra cui gli inediti “Riforme e riformatori” e “Araldo della libertà”, forse non proprio materiale di punta, ma che vale comunque la pena di essere letto, capito e meditato a fondo. Personalmente trovo di straordinaria potenza evocativa le pagine di “Dove ho vissuto e perché” un vero e proprio inno alla gioia composto sulle note di una vita raminga, priva di qualsiasi proprietà, un’esistenza completamente immersa nella natura, dove la forza dell’immaginazione gioca un ruolo centrale: essendo l’unico mezzo umano universale che riesce a rendere inutile il valore dei soldi, dato che tutto ciò che desideriamo è già nostro grazie ad essa. Riusciamo così ad impossessarci di un tramonto, di un ruscello, di una particolare fattoria, assaporandone già – nel giro di un breve istante – i sapori dei frutti che da tale proprietà deriveranno; ed anche se tutto ciò fosse solo un’emozione, per quanto fugace e passeggera, dovremmo chiederci: che cos’è realmente la vita se non una sommatoria di tali sensazioni? E allora che cadano tutti i governi del mondo, lasciando posto all’uomo e non ai suoi rappresentanti che finiscono, inevitabilmente, per non rappresentalo; che si fottano le disuguaglianze sociali e di razza che tengono ancora incatenate milioni di persone; che svanisca in fretta questa rivoluzione industriale che da secoli ci perseguita, fatta di macchine e mezzi che distolgono l’uomo dal suo contesto naturale; e che finalmente l’uomo torni ad essere se stesso, in quanto individuo unico e inscindibile. A centocinquant’anni di distanza io non riesco ad immaginare di meglio per la mia vita e per quella di tutti voi: anarchia, uguaglianza, naturalismo selvaggio e un po’ di benedetto luddismo. Grazie Henry, grazie.
Boris  Borgato