Sul suo genio visionario è calata la damnatio memoriae. Inconvenienti dell’essere nati ai confini dell’Europa, nel cuore di imperi distrutti: austro-ungarico e bizantino. Carneade spunta dai Balcani dell’altro secolo: lo scienziato serbo Nikola Tesla e le sue invenzioni negli anni in cui Lenin teorizzava soviet + elettricità = rivoluzione.
Il genio è totale, e infatti comunicava le sue scoperte con l’astuzia di un guru del marketing. Chiarezza divulgativa e stilistica pari alla lucidità analitica con cui, forse con un po’ di ingenuità, postulava la ricaduta delle sue scoperte sulla community e sulla vita di tutti gli uomini. Influenzato dal nascente socialismo e dalle idee della rivoluzione industriale europea.
Il serbo rimosso dall’immaginario collettivo, se ne può capire perché: la sua idea di scienza era conflittuale con quella corrente: le conquiste scientifiche e tecnologiche dovevano migliorare la qualità della vita, non arricchire ristrette lobby che ne avrebbero fatto un business alimentando in tal modo le diseguaglianze sociali.
“Un tripudio d’elettricità” (Visioni e lettere di un genio), Piano B Edizioni, Prato 2015, pp. 168, euro 15,00 (traduzione di Alessandra Goti) si trasfigura dunque in un “manifesto” della scienza dal basso, rende giustizia a un uomo dalla fantasia vivida, un “tribute” alla sua mente insonne, la sua fiducia ingenua nei Lumi per scacciare le tenebre, un retaggio feudale, per includere miliardi di persone (“Un flusso di elettricità attraverso la terra metterà fine ai monopoli”, “Il mondo è alla vigilia di una svolta straordinaria. Le nostre attuali condizioni di vita verranno stravolte…”, 8 marzo 1896, “The World Sunday Magazine“). Tesla aveva intuito la potenzialità della ricerca che da pensiero accademico si svela sul piano concreto nella sua semantica.
Il volume sciorina una quantità di saggi, sunti di scoperte pubblicati da quotidiani e riviste, ma anche lettere ai famigliari (il nipote scienziato Nikola Trbojevich), e a mecenati e imprenditori (J. P. Morgan, George Westinghouse, ecc.). E svela a tutto tondo lo spessore dell’uomo di scienza appassionato e cosciente dell’enorme responsabilità toccatagli, rinnovando così l’etimo della ricerca, l’ansia del nuovo, soprattutto in un’Italia in cui i “cervelli” fuggono.
Di Tesla conquista la sua ingenua fiducia nell’uomo e nell’umanità, il profondo rispetto per la natura, l’idea della scienza quale password per la coesistenza dei popoli nel comune ideale di avanzamento sulla via del progresso. La sua visione è originale nell’accoppiare equazioni e ricaduta nella vita dell’uomo: “Le particelle possono essere più grandi di quelle del diametro di un atomo di idrogeno… e possono essere inviate a qualsiasi distanza. Buoni risultati in guerra. Porteranno la pace”. Magari…
“In molti conflitti internazionali accelerati da carestie, pestilenze o catastrofi terrestri, la diretta influenza del Sole è inconfondibile”. Giusto, ma soprattutto quella brutale dell’uomo. Della sua mente scagliata nel futuro (anche qui la sorprendente attualità), della mission tutta tesa al progresso e al bene supremo, “inventore di alcune utili apparecchiature elettriche” (“New York Times”, giugno 1907), si accorge Mark Twain. L’amicizia durò 20 anni, lo scrittore visitò più volte il suo laboratorio.
Vienna, 17 novembre 1898: “Non pensavo ti stessi preparando a portare sulla Terra la pace permanente e il disarmo, in modo pratico e irrevocabile”. Scienza e lettere unite nella lotta per un mondo giusto, contaminate dalla follia dell’utopia possibile. Ossimoro da perseguire anche, soprattutto al tempo dei social e il 3D.

Francesco Greco

 

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