Tommo e Toby sono stanchi. Sei mesi di mare senza mai toccare terra. Screzi, veri e propri litigi, mancanza di cibo. Dopo l’entusiasmo iniziale, è difficile rimanere ancora a lungo a bordo della Dolly, il peschereccio che da lungo tempo li ospita. L’occasione che gli si presenta ora pertanto è ghiotta. Finalmente terraferma. Vale la pena di scappare. Anche se il luogo non è che goda di ottima fama, anzi. Siamo nella sconosciuta ed ancora quasi vergine Polinesia, attorno al 1840, presso le isole Marchesi. Anche i pacifici missionari che si sono avventurati da quelle parti hanno dovuto comunque arrendersi, in nome di Dio o chi per lui. Le popolazioni indigene hanno scellerate, radicate abitudini e non c’è nessun volere ultraterreno che possa cambiarle, loro credono in loro stessi e nella loro tradizione, ci mancherebbe che qualcuno voglia scalfirla. Se poi come usanza c’è il cannibalismo sono problemi. Andarli a tovare o chiedere ospitalità per poi essere cucinati non è una bella prospettiva. Senza considerare una certa libertà sessuale che anticipa e supera quella occidentale degli anni Sessanta e Settanta del Novecento. Qui pare che si pratichi liberamente l’incesto e il decremento demografico non è soggetto ad analisi statistiche o politiche sociali ma semplicemente fa parte di una società. Ma non sono davvero cattive queste popolazioni, almeno così pare. Semplicemente diverse. Ed allora chi racconta potrà giocare sul confronto col mondo da cui proviene ed a cui tornerà senza rimpianto…
Rousseau, filosofo francese convinto dell’istinto primordiale e della corruzione progressiva dell’animo umano, se mai avesse avuto l’occasione di leggere questo libro, sarebbe stato felice. Ma era morto da tempo. Lo so, Melville è per antonomasia l’autore di Moby Dick ed a quel romanzo è affidato l’onere e l’onore di tramandare per l’eternità un racconto ed uno scrittore. Ma visse realmente l’esperienza di vivere a fianco dei “buoni selvaggi”, per un mese circa. Questo romanzo, il suo esordio letterario, ha venduto in maniera sorprendente, ha avuto un seguito notevole ed ha una storia editoriale interessante, come si legge almeno dalla precisa, puntuale ed encomiabile prefazione di Simone Buttazzi. Melville – che oggi è considerato uno dei maggiori scrittori statunitensi dell’Ottocento – dovette affidarsi ad un editore inglese per pubblicare il libro in questione. Le licenziosità e le curiosità annidate fra le pagine solleticavano la curiosità del mondo di allora, e fu successo. Gli americani vollero anche loro editare il libro, ma visti i contenuti per così dire scabrosi per quel mondo (oggi sinceramente farebbero impallidire al massimo un’ameba) richiesero una edizione rivisitata con tanto di appendice su Toby, che nel corso del romanzo scompare. Ad oggi esiste una grossa confusione su quale sia il vero testo definitivo licenziato dall’autore, poichè per decenni circolarono le due edizioni senza dramma alcuno. Resta il fatto che è un romanzo non eccezionale, che travalica i confini di genere, a metà fra il diario e l’avventura picaresca, ma che comunque, sulla scorta di pubblicazioni precedenti, illustra a sua maniera il mondo polinesiano, allora considerato fra l’inferno e il paradiso, oggi oggetto semplicemente delle digitazioni online delle agenzie di viaggio. Piacevole, interessante, cone le riserve e le premesse di cui prima.

Paolo Pappatà

 

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