La riluttanza a esprimere opinioni impopolari è per certi versi comprensibile: a scrivere (o dichiarare) certe cose si rischia lo stigma, il posto di lavoro, la reputazione, la propria tranquillità economica e financo la pelle – in casi estremi. Non c’è individuo però che non covi dentro di sé opinioni impopolari – per esempio sulla politica o sulla religione – e anzi più un uomo è intelligente maggiore è la quantità di questo tipo di opinioni che tiene per sé. La libertà di parola è privilegio (monopolio, verrebbe da dire) dei morti, perché nessuno offende un morto anche se in vita aveva un’opinione diversa dalla propria, si sa che “abbiamo comprensione per cosa dicono i morti”… Sappiamo che esistono leggi per tutelare la libertà di stampa, ma quali leggi invece difendono le persone dalla stampa? Per un giornale che fa del bene, ne abbiamo cinquanta che fanno del male: se il sarcasmo sulla credibilità della stampa è un luogo comune da secoli un motivo ci sarà pure, no? Eppure l’opinione pubblica è ancora fortemente influenzata (o addirittura creata) da “un’orda di sempliciotti ignoranti e compiaciuti che hanno fallito come sterratori e calzolai e che hanno intrapreso il giornalismo lungo il loro cammino verso l’ospizio per poveri”… Quando Mark Twain decide di candidarsi a Governatore dello Stato di New York per una lista indipendente, ha ragione di credere che la vittoria sia per lui a portata di mano. I suoi avversari sono tristi figuri dalla mente poco brillante e dalle losche frequentazioni, mentre la sua reputazione è specchiata e la stima del pubblico per lui assoluta. Grande la sua sorpresa quindi quando su un giornale appare un trafiletto che ‘rivela’ come Twain sia stato accusato di falsa testimonianza allo scopo di derubare una povera vedova da 34 testimoni nel 1863 in Cocincina. Rivelazione del tutto falsa, alla quale Twain decide di non replicare, sdegnato. I giornali però iniziano a martellarlo quotidianamente con accuse di furto, spergiuro, ubriachezza molesta, calunnia e corruzione. Portare la faccenda in tribunale causerebbe solo danni e guai, quindi a Twain non rimane che ritirarsi in buon ordine dalla competizione elettorale, lasciandola ai professionisti della politica…
Continua la benemerita opera di riproposizione – e sovente di prima traduzione italiana – dell’opera di Mark Twain da parte di piccoli editori che da un paio d’anni delizia chi ha sempre amato l’ingegno caustico dello scrittore americano e sorprende piacevolmente chi non aveva mai avuto occasione di assaggiare la sua penna: stavolta è il turno delle giovani edizioni Piano B, con una serie di articoli sulla società e il costume in larga parte inediti e in qualche caso persino postumi raccolti in un grazioso volumetto (assolutamente deliziosa la grafica ‘western’ della copertina, deprecabile l’assenza di note biliografiche e date di pubblicazione degli articoli). Il gusto per il paradosso di Twain – come sempre esattamente equidistante tra un rivoluzionario e un conservatore, metà moralista metà dissacratore – si esercita stavolta sui temi della comunicazione, della politica, dei pregiudizi razziali: ne vien fuori una gragnuola di intuizioni formidabili, di gag satiriche, di luoghi comuni e di feroci invettive. In particolare ai giornalisti è riservata una raffica di mazzate che nemmeno Pulcinella al teatro dei burattini di domenica mattina al Gianicolo ne becca altrettante. Del resto, paradossalmente o forse no, i giornalisti non hanno mai goduto di buona stampa.

David Frati

 

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