(In)ter(per)culturando: l’arte del Piano B di Gianfranco Franchi

“Un uomo del Piano B può tranquillamente prendere ispirazione dal suo gatto, in diversi frangenti della sua vita. Da un gatto, si impara l’arte della pazienza. Si impara a guardare il nemico negli occhi e a restare impassibili, al limite sbuffando un po’. Si impara ad aspettare prima di entrare in azione. Si impara a disorientare l’avversario mostrando assoluta immobilità.”
(pag.118-119)
“L’arte del Piano B” di Gianfranco Franchi, Piano B edizioni (ottobre 2011, pag.160, Euro 13,50), collana Zeitgeist è sottotitolato come “Un libro strategico”. Di certo è azzeccato rispetto al periodo storico italiano al punto che forse un business plan da kolossal editoriale non avrebbe saputo fare di meglio.
In un tempo di disoccupazione, sfiducia specialmente in quelle generazioni che ancora potrebbero guardare ‘al futuro’. In un tempo dove la ‘crisi’ più che un allerta è una garanzia di instabilità, dove i mestieri sono talmente flessibili che anche occupando un posto si fatica a ricordarlo che il contratto è scaduto. In un contesto diviso, dove gli intellettuali sono tutto e niente, i film che sbancano il botteghino iniettano happy end a dosi massicce, mentre il governo si è fatto ‘tecnico’ e la sanità sta toccando – specie in alcune province – picchi storicamente rilevanti come i peggiori dal secolo scorso in poi; mentre le università sono sotto assedio per il secondo anno consecutivo sommerse dall’insofferenza e la perdita dei sogni proprio di quei ‘giovani’ che domani e dopo domani dovrebbero proseguire a costruire questo spazio in un futuro prossimo troppo vicino.
In tutto questo e molto altro, chi non ha pensato o cercato o desiderato ‘un piano B’? Chi non ne ha uno?
Franchi lavora partendo da piccolo concetti di base, costruisce, impasta, argomenta, fornisce esempi, dialoghi, virate. Il piano B è un’arte, uno stato mentale, uno style life che si può acquisire solo con estrema lucidità, abilità, egoismo e istinto a non mollare ma a cercare quell’alternativa che diventa la svolta.
Sul finire del libro Franchi fa luce anche sul contesto e le ragioni che lo hanno portato a scrivere in questo modo di quest’argomento che forse è più una serie collegata di approcci mentali quanto pratici. D’altra parte l’editore si chiama ‘Piano B’, che si tratti di una mera operazione commerciale furba e accorta sarà passato per la testa di qualcuno.
In realtà il libro intende toccare diversi nodi del vivere attuale italiano, e lo fa anche proponendo contesti e situazioni precise, esempi e dinamiche verosimili. Non si tratta semplicemente di enunciare e nemmeno di provocare divertendosi (Franchi provoca, certo, stuzzica prima questo poi quel tipo di persona, mestiere, status, scelte, modi di essere e vivere; provoca ma spiazza anche).
Molte delle logiche innestate nel lungo discorso dell’autore non sono una novità, il Piano B esiste da sempre, l’idea di trovare o costruirsi un’alternativa praticabile se la prima scelta fallisce è una dinamica comune, una diretta conseguenza della sopravvivenza. Ciò nonostante il momento storico è determinante (e lo si capisce dalla stessa scrittura) per affrontare questioni forse note ma sempre meno considerate come praticabili, al punto da preferire l’apatia, lo sconforto e l’abbattimento piuttosto che considerare le potenzialità di una virata, di un’altra scelta (anche drastica, perché no?) ma in grado di evitare la caduta rovinosa e la perdita di orizzonte.
C’è poi un capitolo che Franchi letterato non poteva esimersi dal dedicare all’amata-odiata editoria italiana (‘L’editoria del piano B’) potendo, in questo caso, soffermarsi su quelle realtà per l’appunto da ‘piano B’, da alternativa intesa come ‘sana scelta’ alla rotta principale dove le Major dominano e decidono per tutti imponendo ciò che si vende, consuma, ama e osanna.
Il piano B, in sostanza, non è necessariamente un ripiego. Può diventare la rotta meno infetta, meno imposta, meno alienante.
“Chi scrive è stato un bambino nato negli anni Settanta, figli della società italiana che aveva finalmente conquistato il diritto al divorzio. Io e mia sorella, rispettivamente due anni e un anno, fummo assegnati uno a mio padre e l’altra a mia madre da un giudice particolarmente sperimentale e futurista: mio padre viveva a Roma, mia madre era tornata a Trieste. Il nostro Piano B si presentava quindi subito particolarmente astruso, complesso e articolato: saremmo dovuto crescere a circa settecento chilometri di distanza, ognuno in una delle sue (per ora) due diverse famiglie, salvo poi ritrovarci in occasione delle vacanze estive o delle festività natalizie e pasquali, stagione dopo stagione, con la curiosità di scoprire in quanti e quali incredibili e stravaganti modi s’erano andate costruendo e formando le nostre nuove famiglie.
(pag.65)
Il piano B può anche essere figlio del momento, delle condizioni, dell’assenza di ‘vie d’uscita’ o altre opzioni entro cui scegliere.
Sono nata anch’io negli anni settanta (per la verità proprio nello stesso anno di Franchi), e aggiungo all’analisi dell’autore che in Italia esistevano anche (anzi: resistevano a testa alta) le famiglie che in barba al progresso, le novità legislative e l’Europa che s’affacciava in silenzio, continuavano a reggersi su ferree regole sociali figlie di miscele generazionali tra doveri religiosi, onore e rispetto delle gerarchie quanto degli impegni pubblicamente assunti, famiglie fondate sui ‘capi’ e le responsabilità. Esistevano ancora nuclei che mai si sarebbero separati restando divisi all’interno, dove il vero e unico ‘piano B’ iniziava a esistere solo quando s’infilavano le dita nelle crepe (e solo se le si vedeva e ammetteva, diversamente si era nel ‘giusto’, si faceva parte del ‘team dei buoni’, si restava formalmente nucleo, ‘Famiglia’ maiuscola). Il problema oggi, è che anche i figli degli anni settanta-ottanta, dopo diversi piani B – forse – contavano su quella minima stabilità a evitare cadute e lesioni continue, ritrovandosi invece trentenni (poco più o poco meno, non è a mio avviso davvero una questione generazionale in senso stretto, non soltanto) con le incertezze che si moltiplicano sia che si porti avanti il piano A (linea familiare dictat), sia che ci si sia lanciati su ‘vari’ B.
Franchi comunque non scrive tanto per fare. Le sue non sono argomentazioni per gratificare il proprio intelletto o le proprie capacità nella scrittura e nel sostenere teorie e punti di vista. A Franchi interessa solleticare, ma anche deridere, tirare, colpire, spronare, sfidare chi nel ‘Piano B’ non crede più, chi lo ha relegato a mero atteggiamento ‘di’ e ‘per’ pochi che ce la fanno perché hanno quel ‘guizzo’ in più. Franchi vuole, a volte anche forzando, persuadere che chiunque può credere, elaborare e persino ricorrere concretamente a un proprio ‘Piano B’ a veicolarne il vivere.
“Credo che le potenzialità di un concetto esplosivo come quello del Piano B non vadano riservate esclusivamente a contesti estranei alla maggioranza assoluta di noi, come quello militare o industriale. Credo che quelle potenzialità possano e debbano riversarsi in tutti gli aspetti dell’esistenza e della quotidianità dei cittadini: perché ciò di cui abbiamo assolutamente bisogno, adesso, è smettere di mostrarci assuefatti allo stato delle cose, perché è proprio questo il problema.”
(pag.144)
Si legge con estrema facilità e con altrettanta facilità s’inveisce, sorride, annuisce, brontola o lo si chiude (senza rischiare di perdere il filo, i singoli capitoli sono ‘smontabili’ in parti sensate anche prese singolarmente, il più delle volte).
Barbara Gozzi