«L’uomo del piano B è uno che non te ne sei nemmeno accorto ma tutto a un tratto ha preso e ha cambiato lavoro e ha cambiato casa. Oppure ha cambiato estetica, e ha cambiato lessico. Non ti ha semplicemente disorientato: t’ha proprio spiazzato.»

Mi sono sentito gradevolmente in sintonia con questo arguto libro di Franchi, non solo perché di recente ho cambiato lavoro e in parte stile e organizzazione della mia vita – a chi potrebbe interessare, in questa sede? -, bensì per il fatto che L’arte del piano B è una panacea concepita e realizzata con sorprendente tempestività. Il libro giusto, edito nel momento giusto da un editore giusto e interessante quanto fortunato, che ha trovato in uno dei suoi autori la propria icona.

Mai come ora c’è bisogno di un piano B, di un pungolo non esclusivamente culturale a rimettere in discussione le nostre interazioni con la realtà nella quale siamo immersi. Tutti, dice Franchi, abbiamo un piano B (pensateci, è davvero così); eppure non tutti siamo uomini del piano B. C’è bisogno di un ulteriore scarto, di uno slittamento che fa la differenza, dell’abilità di intuire che si stanno creando le condizioni per attuarlo, il nostro piano B, di armarci del coraggio e della determinazione necessari a fare fagotto di quelle quattro certezze che abbiamo stivato per l’inverno, nella nostra dispensa della vita, e come un atleta esperto lanciarci in una improvvisa, inaspettata volata. Per vincere.

L’arte del piano B è un manuale pratico e divertente, una parodia, per certi aspetti, dei ben noti for dummies americani; è una guida trasversale e politicamente scorretta (certo: è molto di più) alla via di fuga. Gianfranco Franchi (Trieste, 1978), letterato romano di sangue giuliano, austriaco e istriano ha questa ammirevole curiosità, questa capacità di mettersi in ascolto, di percepire le dinamiche della contemporaneità; ha una peculiare attenzione ai fenomeni sociali, culturali e politici del nostro tempo e dispone di un background estremamente versatile e ricco di riferimenti culturali (letteratura, cinema, musica e moderne tecnologie).

I suoi temi gravitano con forza e coerenza sulla necessità di operare scelte culturali, di volgerci a una media e piccola editoria di qualità, non ancora strumentalizzata dagli interessi dei grandi gruppi di potere. Il Franchi artefice e curatore del frequentato portale di comunicazione letteraria e dello spettacolo Lankelot.eu; il Franchi poeta de L’inadempienza (Il Foglio, 2008); il Franchi narratore in Monteverde (Castelvecchi, 2009) o critico e biografo musicale in Radiohead (Arcana, 2009); il Franchi scout editoriale si compongono in una unica, multiforme personalità lesta a sgamare la faziosità di alcuni intellettuali modaioli che si fanno blandire dall’industria editoriale pur di accaparrarsi un lettore in più. Oppure sbertuccia il fancazzismo qualunquista di alcuni social network in cui la comunicazione è dispersa e ricombinata in modo illogico, a configurare nuove barbarie: «Cos’è che sta rovinando la qualità del lavoro, negli uffici, nei negozi, negli sportelli aperti al pubblico, da dieci anni circa a questa parte? La deconcentrazione. (…) La deconcentrazione del multitasking. (…) la possibilità di essere connessi ventiquattrore al giorno alle fonti di informazione, al proprio social network o proprio sito di riferimento, mantenendo al contempo viva la comunicazione con più di una persona, in tempo (almeno potenzialmente) reale. (…) dedicarsi a tante attività contemporaneamente, nell’assurda pretesa di essere perfettamente in grado di assicurare la stessa qualità di lavoro a ognuna di esse.»

Una risposta, propone Franchi, per riguadagnare la concentrazione, potrebbe essere la cucina. Quando un uomo cucina non può che essere concentrato. Non c’è niente di più bello di un piatto cucinato con passione ed amore, scrive il nostro. E non posso fare a meno di pensare al mantra rilassante di un risotto portato lentamente a cottura, con dedizione. Meditiamo. E ancora un pressante invito a ritornare ad una essenzialità nello stile di vita e di espressione. «Una delle soluzioni più sensate scelte da molti uomini del piano B è stata quella di passarsi tavolini, armadi, mobiletti o vecchi impianti stereo che non venivano più accesi da un pezzo; per arginare le spese, contenere i costi e avere qualcosa del proprio amico, della propria amica, in casa, con sé, tutti i giorni. E non c’è lettore di Second Hand che non abbia deciso di comprare qualcosa che avesse già vissuto almeno un’altra vita, altrove. La vita nuova s’è formata su una piccola cosa da niente. Incantevole.»

Il testo è congegnato per principi, esempi, applicazioni. È rivolto a tutti perché parla un linguaggio dallo stile minimale ed elegante quanto popular – se fosse musica sarebbe Abbey Road per intenderci. Gustose le invenzioni degli interludi; si legga a tal proposito L’incontro col disfattista: un nemico del piano B, vera  e propria operetta morale, caustica fustigatrice dei costumi attuali di un’italietta rassegnata e mortifera che ha smesso di coltivare sogni e progetti. Mi ha deliziato leggere di Ivan, il Pagatore di Bollette, personaggio fiabesco e forse non del tutto paradossale: «Non è chiaro se si tratti d’un soprannome scelto dai media, da un giornalista buontempone che ha forgiato una strana crasi tra “Iva” e “Iban”, oppure se sia proprio il suo nome di battesimo. Sta di fatto che è così che a tutti piace chiamare il Pagatore di Bollette: Ivan. Ivan è un vero esempio di professionalità. Ciò che riceve va a pagare, entro ventiquattrore.»

Da tempo ho fatto mia una celebre massima di Claudio Appio Cieco: Faber est suae quisque fortunae. Ciascuno è artefice del proprio destino. Mi è sempre piaciuto contrapporla al pensiero di tanti lamentosi filistei che attendono invano dal cielo un qualsivoglia segnale della provvidenza. Franchi riprende la frase e la applica al piano B-pensiero: «È una massima che ogni uomo del piano B ha come impressa a fuoco nel suo dna. Ci sono uomini del piano B che hanno deciso di stampare il loro ex libris con quel motto. (…) Ci sono stati figli di uomini del piano B che hanno inciso quelle sacre parole sulla corona funebre dei loro padri, consapevoli che erano le parole giuste per accompagnarli nell’aldilà. Ci sono stati interi piani B che sono stati ispirati, nel momento determinante, solo ed esclusivamente da quel motto.»

Si può anche non essere d’accordo con alcuni sillogismi del Franchi-pensiero ma è innegabile che la lettura de L’arte del piano Blascia il segno se rapportata ad un generale confronto col mondo attuale, se la si considera in una prospettiva volta al superamento di schemi ormai frusti, all’aggiramento di una impasse letale in termini di dispersione di umane energie. «Se c’è una cosa che dobbiamo fare, come prima mancata classe dirigente del paese, è prendere atto che sta a noi avere la fantasia, lo spirito e l’intelligenza per immaginare nuovi paradigmi politici, economici, esistenziali. (…) Siamo stati allevati e alfabetizzati per un’Italia che non esiste più. (…) Ha senso cercare una via di fuga. Ha senso cercare il sentiero per la fondazione di qualcosa di radicalmente diverso. Un altro paradigma.»

È così chiaro e semplice che ci chiediamo – noi tutti che abbiamo un piano B e forse non siamo ancora uomini del piano B – come Franchi abbia potuto descrivercelo con una tale naturalezza e perspicuità. Eppure era sotto i nostri occhi. Possiamo stare bene, se lo vogliamo. Ma bene davvero.

Alberto Carollo