Il saggio scritto nel futuro che condanna senza appello il nostro presente

Ambientato nel 2393 “Il crollo della civiltà occidentale” parla dell’oggi come punto di partenza dell’apocalissi energetica, politica e ambientale. Non è un romanzo distopico, ma un saggio basato su studi e intuizioni così verosimili da mettere i brividi

 

Lo ha dichiarato anche Papa Francesco: “Sarebbe catastrofico se alla Cop21 prevalessero gli interessi privati sul bene comune“. Sono in molti a sostenere che la Conferenza mondiale sul clima a Parigi è l’ultima chance che le potenze mondiali hanno per salvare le sorti climatiche del pianeta. Ogni rinvio avrà effetti disastrosi. È quello di cui sono convinti anche Naomi Oreskes e Erik Conway, due storici della scienza che lavorano rispettivamente a Harvard e alla NASA, autori di un breve libro, Il crollo della civiltà occidentale, pubblicato in Italia da Piano B.
In quella che all’apparenza è un’opera di fantascienza, un giovane storico della Seconda Repubblica Popolare Cinese scrive nel 2393 una ricostruzione delle cause che hanno portato, all’incirca nella nostra epoca, a una vera e propria apocalisse energetica. Alla fine del nostro secolo, ricostruisce lo storico (ma in realtà prevedono gli autori), le popolazioni di Africa e Australia sono state spazzate via, New York e altre città costiere sommerse dalle acque, il 70% delle specie viventi si è estinto, in tutto il pianeta sono avvenute migrazioni di massa e rivolte per la scarsità di cibo. Per lo storico che scrive, ma anche per il lettore di oggi, il fatto più sconvolgente è che “le vittime sapevano cosa stava accadendo e perché stava accadendo“.
I dati riportati nel libro riguardano rilevazioni attuali o proiezioni piuttosto precise sugli anni a venire: emissioni di CO2, innalzamento delle temperature e del livello dei mari, investimenti in risorse rinnovabili ecc.
Il quadro sembra chiaro e preoccupante già ai giorni nostri: “Entro il 2012 più di 365 miliardi di tonnellate di anidride carbonica erano state immesse nell’atmosfera a causa della combustione di risorse fossili e della produzione di cemento,” si legge nella ricostruzione. “Altre 180 furono aggiunte dalla deforestazione e da altri cambiamenti nell’uso del suolo. Sorprendentemente, oltre la metà di queste emissioni si verificarono dopo la metà degli anni Sessanta del Novecento“. Il fatto che il tempo verbale utilizzato sia il passato remoto rende queste annotazioni ancora più agghiaccianti.

Interessante poi è che il punto di vista sia quello di un cinese, essendo la Cina, assieme agli Stati Uniti e anche all’India, la più grande incognita rispetto alla possibilità di risolvere la situazione del clima mondiale. Ciò si ricollega in modo lampante alla Conferenza di Parigi: anche se tutti gli altri Paesi si impegnassero in modo virtuoso su questi temi, basterebbe l’astensione di queste tre superpotenze per vanificare ogni sforzo. Al momento di scrivere (aprile 2015) gli autori sembrano piuttosto scettici: “Venti precedenti Conferenze devono ancora produrre risultati sostanziali. Se si assume che il passato dev’essere guida per il futuro, allora c’è da essere pessimisti. Cina, India e Stati Uniti hanno già fatto sapere che non ratificheranno alcun trattato che li vincolerà a ridurre le emissioni di CO2“.
Il problema non è solo politico, ma anche mediatico. C’e ancora una parte dell’opinione pubblica (soprattutto in America) che nega l’origine antropica del cambiamento climatico, se non la sua esistenza tout court. Nel loro libro precedente, Merchants of doubt, Oreskes e Conway dimostrano come “per più di vent’anni i conservatori americani e i leader economici hanno messo in dubbio le prove scientifiche del cambiamento climatico“, in un’operazione molto più ampia che vedeva in prima linea i lobbisti del tabacco, intenzionati a minare la credibilità della scienza per smentire anche i danni provocati dal loro prodotto.
D’altra parte il meccanismo de Il crollo della civiltà occidentale può risultare piuttosto straniante: da una parte leggiamo avvenimenti sì catastrofici ma che sembrano essere successi in un’altra epoca, in una dimensione lontana da noi; eppure continuando la lettura ci si accorge che ciò di cui si sta parlando siamo noi, è il nostro presente, la nostra follia ma soprattutto il nostro menefreghismo rispetto al tema. Una ragione in più per seguire con attenzione i lavori della Cop21, tenendo gli occhi aperti su quelli che saranno i risultati e le promesse. Sperando che non sia davvero l’ultima possibilità prima che ci crolli il mondo intorno.

 

Il saggio scritto nel futuro che condanna senza appello il nostro presente