In occasione della presentazione del prossimo 10 giugno, riprendiamo il ciclo delle interviste da libraio con una doppia intervista a Federico di Vita e Ilaria Giannini, autori di

I treni non esplodono. Storie dalla strage di Viareggio, Piano B Edizioni,

un libro corale che, dando voce a chi il 29 giugno 2009 è sopravvissuto all’esplosione causata dal deragliamento del treno merci, vuole continuare a fare domande, a cercare risposte, a dare un volto alle vittime e ai responsabili di una tragedia che si sarebbe potuta benissimo evitare.

 

Ci sono libri che ti fanno venire voglia di scrivere. Libri che ti fanno venire voglia di viaggiare, libri che ti fanno volare. Ci sono libri che ti cambiano la vita, che aprono porte, che risolvono conflitti. E ci sono libri che ti fanno sentire il bisogno di analizzare e approfondire, prendere un registratore e lasciare che siano gli altri a parlare. Sono quei libri che ti sembra abbiano il potere di cambiare le cose, non solo di spiegarle, di realizzarle, di fartele vivere.

Questo proverete leggendo I treni non esplodono.

Qual è la storia della copertina del libro?

Ci è voluto un po’ per trovare la giusta copertina, il lavoro di confronto con l’editore e con Maurizio Ceccato, che cura la grafica della collana, ci ha portato a confrontarci con (e a scartare) diverse possibilità. Alla fine abbiamo pensato che questa soluzione fosse di forte impatto – di fatto la copertina divorata dalle fiamme è una metafora libresca, si potrebbe quasi dire materica di ciò che è successo quella notte – avendo allo stesso tempo il pregio di non essere troppo “urlata” o violenta. Allargando il discorso a tutto il progetto grafico, aprendo il libro si nota come seconda e terza siano costituite da due mappe, a ben vedere due foto aeree, di Viareggio. Nella prima – in cui sono indicati anche alcuni dei punti chiave nominati nelle storie raccontate nel libro (perché la cartina c’è anche per motivi pratici, avevamo bisogno di mettere a disposizione del lettore una mappa con cui ricostruire spazialmente la vicenda) – si vede com’era quella zona della città fino al 29 giugno 2009, mentre nell’altra, quella che si trova alla fine del volume, si può apprezzare il tremendo spettacolo di come si mostrava la zona interessata dal disastro il giorno dopo: si vedono chiaramente le cisterne deragliate e Via Ponchielli divorata dalle fiamme, una Via Ponchielli in cui si distinguono anche tre palazzine appena crollate.

Quali sono i testi e gli autori che ti hanno ispirato?

Federico: Questo è un libro dalla forma inusuale. La prima cosa che ci siamo chiesti è stata quale fosse il modo più giusto per affrontare una materia come questa, e ci è sembrato che l’unica possibilità fosse quella che poi abbiamo usato: far parlare le storie. Pur trattandosi di un libro di non-fiction letteraria classico, e abbastanza radicale, non ci sono tanti esempi e ad alcuni siamo arrivati quando oramai il libro era fatto (mi viene quasi il sospetto che una risposta “giusta” alla domanda che ci siamo fatti all’inizio c’era, e non potevamo essere in assoluto i primi a darcela). In ogni caso di modelli o di libri paragonabili per struttura me ne vengono in mente pochi. Potremmo citare il Murakami di Underground (che è più presente di noi all’interno del testo ma che in ogni caso fa un’operazione simile), o anche un libro di cui abbiamo scoperto l’esistenza solo a fine lavorazione: La catastròfa di Paolo di Stefano (che a differenza nostra fa un uso molto massiccio delle deposizioni processuali). Volendo individuare un modello di stile – ma non esplicito e direi anche sotterraneo (tanto che mi sta venendo in mente solo ora che devo rispondere a questa domanda) – personalmente potrei indicare anche Ultimo parallelo di Filippo Tuena.

Ilaria: Per quanto mi riguarda ci sono stati due poli opposti tra cui ho cercato di prendere le misure per raccontare questa storia corale. Quello positivo lo spiega bene Federico, mentre dall’altro lato è stato Vite che non sono la mia di Emmanuel Carrère lo specchio che ho tenuto sempre davanti per ricordarmi cosa non doveva assolutamente diventare la nostra opera. A differenza di Carrère infatti, che fa della sua presenza, dei suoi sentimenti e del suo punto di vista il fulcro della narrazione, noi volevamo sparire in quanto autori, essere il meno possibile invasivi, sia nel momento in cui raccoglievamo le interviste dal vivo che nella stesura. Di fronte alla drammaticità degli eventi vissuti da queste persone era doveroso fare un passo indietro e lasciare che al lettore arrivassero solo le loro voci. Questo rispetto formale e sostanziale è stato l’unico modo in cui avrei potuto procedere senza avere la sensazione di stare vampirizzando il dolore altrui per tornaconto personale o peggio ancora per vanità autoriale.

L’ultimo libro che hai letto?

FedericoDissipatio H.G. di Guido Morselli.
IlariaLe braci di Sándor Márai.

Il libro che avresti voluto scrivere tu?

FedericoMoby Dick. 
IlariaIl tempo è un bastardo di Jennifer Egan.

Un autore italiano che consigli?

Federico: Curzio Malaparte.
Ilaria: Elena Ferrante.

 

http://www.altroquando.com/articoli/qualche-domanda-federico-di-vita-e-ilaria-giannini