Dio non chiede tanto!, essere tra le nuvole, cavalcare i princìpi, essere poeta quando è il momento, gli affari sono affari, nessuno è perfetto, povertà  non è un vizio, eccetera, eccetera, eccetera. I cosiddetti luoghi comuni, tra cui questi, esistono da tempi immemorabili, si usano per difendersi durante uno scambio di battute, sono l’escamotage perfetto per giustificare un’azione e un risultato discutibile. Per Léon Bloy (Aquitania 1846 – Parigi 1917) sono soprattutto il solo linguaggio utilizzato dai Borghesi (con la B rigorosamente maiuscola). E chi sono mai questi signori secondo Bloy? Ebbene, lui direbbe che “il vero Borghese, vale a dire, nel senso più generale e moderno possibile, (è) l’uomo che non fa alcun uso della facoltà di pensare e che vive o sembra vivere senza esser stato sollecitato, neppure per un giorno, dal bisogno di capire qualche cosa, l’autentico e indiscutibile Borghese è necessariamente limitato nel suo linguaggio a un numero piccolissimo di formule.” Ecco dunque le sue formule, qui raccolte nel primo di tre libri, elencate in centottantatrè specifiche tra la fine del 1897 e l’inizio del 1902. Il Borghese, quindi e secondo Bloy, è quanto di più odioso, ottuso e stupido ci sia al mondo. Un compendio di ricchezza pecuniaria associata alla miseria cerebrale, all’abuso del Vangelo come pozzo al quale attingere buoni motivi per il proprio stile di vita…
Ogni luogo comune viene messo in ordine, considerato e soppesato e poi applicato al modello di vita borghese, tanto futile quanto privo di contenuti. Ne esce un pamphlet furioso, che si autoalimenta di rabbia e disprezzo, costruito su una scrittura caustica al limite del fastidioso. Difficile per me fare l’esegesi di un’esegesi, soprattutto perché l’originale è così acida e scevra di ridondanze, già ridotta all’osso dall’autore che non aveva alcuna intenzione di parafrasare. Certo è che le sue considerazioni si possono definire altrettanto attuali quanto i luoghi comuni stessi, che non smettono mai d’essere utilizzati. Se da un punto di vista pratico la Borghesia di fine diciannovesimo secolo aveva certe caratteristiche, oggi scadute e modificate dalla modernità, da una prospettiva culturale e umana il profilo psicologico resta attuale, seppur ben distribuito all’interno di tutte le classi sociali. I luoghi comuni hanno cambiato il nome diventando slogan, ma il principio d’uso è rimasto lo stesso. Difficile non riconoscere, soprattutto in politica, la frase messa lì a giustificare e imbellire un dato di fatto,  un pasticcio magari. Il senso di quest’esegesi è forse proprio questo: dimostrane l’attualità. Ne sia esempio la spiegazione di “essere tra le nuvole” che per il buon Borghese, secondo l’interpretazione di Bloy, significa “(..) bramare la Bellezza, lo Splendore, la Beatitudine; preferire un’opera d’arte a una porcheria e il Giudizio Universale di Michelangiolo a un inventario di fine anno; aver più bisogno di saziarsi l’anima che l’intestino; (..)”. Ora ditemi voi se in questa definizione non ci riconoscete qualche faccia nota e contemporanea.

Renzo Brollo