Camminare non è soltanto un esercizio fisico, ma anche un’attività eminentemente spirituale. La pensava così Hermann Hesse (1877-1962), premio Nobel per la letteratura nel 1962, che ha fatto dell’arte del “vagabondare” il perno attorno al quale ha costruito quasi interamente la sua opera. Basti pensare a “Siddartha” dove compiutamente la vocazione alla conoscenza s’intreccia con l’esplorazione di terre e spiriti incogniti. Camminare, dunque, è per lo scrittore tedesco la metafora della ricerca e della realizzazione interiore. Lo provano, in maniera seducente, gli scritti sul tema raccolti dalla piccola e raffinata casa editrice Piano B in un volumetto davvero originale e prezioso. In esso compaiono per la prima volta in Italia molti degli scritti giovanili di Hesse, sparsi in giornali e riviste, dedicati al cammino, all’esplorazione, all’attrazione per luoghi remoti. Sono esercizi di stile, oltretutto, che anticipano le prove letterarie più mature e, nello stesso tempo, offrono un saggio della tensione poetica e morale dell’autore a contatto con la natura, in particolare con la montagna e le vie più impervie cercate ostinatamente come se fosse sulle tracce di un ideale Graal.
Viaggiare per Hesse non ha lo stesso significato che ha assunto con il passare del tempo degradandosi a turismo massa. Nell’esperienza che descrive c’è l’opposto di ciò che oggi intendiamo con il nostro “vagabondare organizzato” in giro per il mondo, segnato dall’ansia di trovare anche dove non è possibile ciò che abbiamo lasciato partendo, dalle abitudini culinarie ai comfort domestici. Per Hesse, che gratifica anche i viaggiatori del suo tempo del disprezzo dovuto a chi non sa cogliere l’essenza profonda del camminare, la poesia del viaggio non consiste nella distrazione dalla monotonia della vita ordinaria o dal distacco dalle attività consuete, ma “nell’arricchimento interiore, nell’organica assimilazione delle novità vissute, nell’accrescimento della nostra capacità di comprendere l’unità nel molteplice”. A tutto ciò si aggiunge un certo romanticismo del viaggiare e cioè “la varietà delle impressioni, l’attesa, serena o ansiosa, di sorprese, ma soprattutto il prezioso piacere di frequentare persone che ci sono nuove ed estranee”.
Gli scritti di Hesse testimoniano che queste premesse possono essere rispettate se con animo semplice e scevro da pregiudizi ci si incammina verso la conoscenza. E così, introducendoci al piacere dell’immersione nella natura, il viandante-scrittore ci fa cogliere un’altra dimensione di foreste e laghi, cime innevate e sentieri rischiosi, azzurre lontananze e fulgori invernali; attraversiamo con lui le fredde giornate nei Grigioni e ci deliziamo nel passeggiare sulle rive del lago di Como o nello scoprire i segreti del Giardino di Boboli. Camminare poi in primavera è decisamente un incantamento dell’anima: “Da viandante solitario, non distinguo tra gli istinti e le pulsioni al mio interno e il concerto della crescita che mi avvolge dall’esterno con migliaia di voci”. L’uomo è nella natura. Hesse ce lo ricorda.

Gennaro Malgieri

 

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