Quando la cultura di massa vinse tutto

Masscult e Midcult è pubblicato per la prima volta sulla Partisan review nel 1960, quando un’altissima percentuale di americani si gode senza retropensieri il proprio posto al sole: è il boom industriale, l’epoca della compiuta massificazione del benessere, del consumo, dell’arte. Il libro di Dwight Macdonald ci racconta questa metamorfosi dal punto di vista di chi, al culmine della festa, si mette in un angolo e guarda tutti di sbieco. L’autore era un radical eccentrico che dava fastidio sia a destra che a sinistra, un outsider da terza pagina che del conservatore esibiva un certo snobismo e la difesa ostinata di un’idea elitista di cultura proprio mentre quella andava sparendo inghiottita dal grande blob dei massmedia. Del rivoluzionario di sinistra adottava invece certe scelte politiche: sarà vicino a Trotski negli anni 30, per esempio, e in prima linea contro la guerra nel Vietnam.

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Ha attraversato come autore, redattore e editore l’intera gamma del giornalismo culturale statunitense del dopoguerra, dalle riviste per pochi intellettuali ai magazine a larga diffusione del magnate Henry Luce come Time e Fortune; scriveva anche su Esquire che in questo libro colloca in una fascia di midcult superiore insieme al New Yorker, mentre propriamente midcult sarebbero ad esempio The Atlantic e soprattutto Life. La celeberrima rivista per cui hanno lavorato molti dei più famosi fotografi e fotogiornalisti del novecento è anche quella su cui venne pubblicato per la prima volta Il vecchio e il mare di Hemingway, e uno dei pezzi di rancore più divertenti e dissacranti di questo libro, o forse di sempre, è proprio la sua stroncatura del famosissimo libro del buon vecchio Ernest. Ora Piano B ripubblica Masscult e Midcult, con un saggio di Umberto Eco, traduzione e cura di Mauro Maraschi.

L’esempio della rivista Life è perfetto per capire cos’è il midcult

Allora che significa midcult? Una via di mezzo (mid-) tra masscult e avanguardia, dove masscult (cultura di massa) si può tranquillamente leggere come un sinonimo di pop. Qualche tempo fa dicevamo “radical chic”, ormai hipster va per la maggiore, ma il termine inventato da Macdonald già inquadrava con una certa precisione l’irrompere del gusto delle classi medie e l’ansiosa volontà di promozione culturale che lo caratterizza.

courtesy Piano B

La descrizione di Life è perfetta per capire: “La troviamo nelle librerie di mogano dei ricchi, sui tavolini con il piano di cristallo della media borghesia e sulle incerate da tavola dei poveri. I suoi contenuti sono omogeneizzati non meno della sua diffusione. Nello stesso numero convivono serenamente: un’autorevole inchiesta sull’energia atomica e una disquisizione sulla vita amorosa di Rita Hayworth; fotografie di bimbi affamati che rovistano nell’immondizia a Calcutta e subito dopo modelle tornite da reggiseni aderenti; dieci pagine dedicate ai quadri di Renoir seguite dalla foto di un cavallo sui pattini a rotelle”. È evidente, anche senza arrivare alla famigerata colonnina di destra di Repubblica, che sessant’anni dopo più o meno tutti i periodici sfruttano lo stesso miscuglio di alto e basso, di serio e faceto. Gli stessi accostamenti brutali che suonavano dissonanti a una testa novecentesca oggi passano completamente inosservati: il midcult ha vinto, ha stravinto, e leggendo il saggio di Macdonald non si può fare a meno di pensare a un libro completamente sconfitto dalla storia, con quel tanto di ammirazione sconsolata per il fascino decadente che scintilla dalle rovine.

Eppure se il midcult spopola in ogni dove, e anzi proprio per questo (poco tempo fa sono finito in una nuova Feltrinelli Red a Roma dove si proponeva una cena dannunziana il cui menù apriva con del finger food ispirato a Andrea Sperelli, si passava a una zuppa sulla Figlia di Iorio e così via in un crescendo di simbolismo enogastronomico) per comprendere bene e (come dire) nella freschezza iniziale dei suoi albori questo caratteristico miscuglio di pretenziosità e pecoreccio che definisce una grandissima percentuale della cultura nella quale siamo immersi, non c’è nulla di meglio di questo libretto.

“non esiste un Unico Grande Pubblico, ma piuttosto una serie di pubblici più piccoli e specializzati, che tuttavia possono essere altrettanto proficui dal punto di vista commerciale”

Certo, ci sono dei limiti nell’analisi di Macdonald, e grossi. Per esempio: nella rigida divisione di cultura alta e bassa che eredita dal passato e che il midcult mette gravemente in discussione è praticamente escluso da Macdonald che la cultura di massa possa produrre contenuti originali e di buon livello: quello che fa il midcult non è altro che prendere roba trash e rivestirla di una leggera patina sofisticata in modo da farti sentire figo. Ma c’è un passaggio dove Macdonald si dimostra abbastanza profetico, oltreché stranamente ottimista rispetto alla possibilità di una industria culturale non deteriore, ovvero quando riconosce che “non esiste un Unico Grande Pubblico, ma piuttosto una serie di pubblici più piccoli e specializzati, che tuttavia possono essere altrettanto proficui dal punto di vista commerciale”. La grande rivelazione è che il pubblico di massa può essere suddiviso e che “più è suddivisibile meglio è”. Ogni buon pubblicitario oggi lo sa benissimo, e d’altronde quella “coda lunga” di cui parlava Chris Anderson pochi anni fa non era altro che questo: su Netflix o Amazon si creano infinite nicchie di consumatori di prodotti culturali molto settoriali (e spesso di ottimo o buon livello) e non il solito branco di pecore pronto a pasturare ciò che gli viene ammannito dai signori dei media.

Speriamo. Ad ogni modo, come ha ben rilevato il curatore del libro Mauro Maraschi, con quel suo brillante passare dalla sociologia alla letteratura, da Kierkegaard al rock’n’roll mischiando il tutto in un discorso piacevole a arguto, anche Masscult e Midcult è un prodotto squisitamente midcult. È difficile sfuggire al nostro destino: nel localino del quartiere giusto due giovani hipster continueranno a scambiare opinioni su questo saggio degli anni 60 sorseggiando un Moscow Mule, e l’immagine sarà simile a quella del barone di Münchhausen che cerca di uscire dalle sabbie mobili tirandosi per i capelli, o se preferite per la barba.

 

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