Qual è il limite tra vita e arte, ammesso che un limite possa esistere? È forse l’arte ad ispirarsi alla vita, o non è piuttosto il contrario? Malgrado il paradosso difficilmente risolvibile, ciascuno di noi è propenso a ritenere che non esista nulla di più immediato e diretto della natura, dell’esperienza che ne facciamo nella sua purezza, nella sua percezione immanente. Eppure a ben guardare la percezione che ne abbiamo è trascendente e mediata, canonizzata dall’arte: come può un inglese contemporaneo di William Turner guardare un tramonto senza pensare di essere in qualche modo influenzato dai suoi dipinti? E al tempo stesso un lettore che ritrovi parte del proprio vissuto in un romanzo può davvero essere certo che sia l’opera d’arte a modellarsi intorno alla sua vita e non viceversa? Ecco allora che lo specchio dell’arte si deforma: non rappresenta più una serie di modelli immaginari che imitano il reale, ma un immaginario vero e proprio – uno stato di esistenza – che trae ispirazione e si nutre dal proprio interno modellando poi le forme del reale… Spesso fraintendiamo il socialismo come forma di altruismo malsano, in cui la vita dell’individuo è subordinata rispetto alla collettività; in realtà l’affermazione del socialismo non porta ad una negazione dell’individuo, ma alla piena espressione della propria individualità. Questo perché solo uscendo dal capitalismo l’uomo sarà finalmente libero delle sue proprietà e smetterà di identificarsi con esse, l’uomo quindi non sarà più subordinato alle cose, che apparterranno alla collettività, e svincolato dal desiderio dell’accumulo sarà libero di essere solo se stesso…