Profetica e cupa, conferma il suo peculiare status di scienziato “antimoderno”, data la lucidità e la ferocia con cui in questo volume attacca i capisaldi della modernità: la tecnica e la cultura tecnocratica e lo scientismo, identificati da Lorenz come i “mali” che rischiano di condurre l’umanità verso il baratro. La polemica dello scrittore e scienziato tedesco è esplicita e investe mentalità diffuse: l’egemonia culturale dello scientismo, il dominio della monocultura tecnocratica ovunque identica e spersonalizzante, la concentrazione del potere nelle mani di pochi grandi gruppi industriali, il dominio della pubblicità e le sue conseguenze sulla società e la democrazia. Secondo Lorenz l’uomo non è solo esposto ai rischi che nascono dalle armi che possiede, o dall’inquinamento e dalla distruzione del proprio ambiente. È infatti in atto una malattia più insidiosa che lo minaccia: il declino delle sue qualità più specificamente umane. Il ricorso alla biologia, all’antropologia, all’evoluzionismo e alla filosofia rendono “Il declino dell’uomo” un magnifico e profetico ritratto del nostro tempo, dove si cerca di rintracciare le cause profonde della malattia che affligge l’umanità, e al contempo i possibili rimedi. La voce di Lorenz si fa forte e chiara, confermandosi con Il declino dell’uomo come una delle più autorevoli e brillanti della nostra epoca.
Molti uomini credono che il corso della storia universale segua un cammino prestabilito, diretto verso una meta già fissata. In realtà l’evoluzione della creazione organica si compie per vie imprevedibili. Sia la nostra fede nella possibilità di un’evoluzione creativa, sia la fede nella libertà e soprattutto nella responsabilità dell’uomo si fondano sulla consapevolezza di questa verità. Nella prima parte di questo libro, Lorenz confuta l’idea secondo cui l’evoluzione dell’universo segua un corso prestabilito. Un tale corso non sarebbe più una storia della creazione.
Nella seconda parte, passa poi a confutare l’errore endemico che considera dotato di realtà soltanto ciò che è numerabile e misurabile e dimostra in modo convincente che i processi soggettivi della nostra esperienza interiore hanno lo stesso grado di realtà di tutto ciò che può essere espresso con la terminologia delle scienze esatte della natura.
Nella terza parte, l’Autore spiega come il pensiero concettuale e il linguaggio verbale abbiano prodotto una crescita del sapere, del potere e del volere dell’uomo: in altre parole, una crescita dello spirito umano. Questa crescita si fa sempre più rapida, con progressione esponenziale, e ha realmente trasformato lo spirito umano in un «nemico dell’anima umana». Lo spirito umano ha creato situazioni nuove, che la disposizione naturale dell’uomo non è ancora preparata ad affrontare. Molte norme del comportamento (sia norme dettate dall’«istinto», cioè geneticamente programmate, sia norme prodotte dall’evoluzione della cultura) che in un recente passato erano ancora delle virtù, producono oggi conseguenze rovinose.
La quarta e ultima parte prende in esame la situazione nella quale ci hanno condotto i processi esaminati nella parte precedente. È una situazione piena di pericoli, che tuttavia lascia qualche spazio alla speranza a dispetto di alcuni processi irreversibili di tipo perverso indotti dallo sviluppo tecnico ed economico. Le abitudini di pensiero generate dalla tecnologia si sono fissate nelle rigide dottrine di un sistema tecnocratico protetto da una sorta di autoimmunizzazione. La tecnocrazia crea una società iperorganizzata, che esercita sull’individuo un effetto deresponsabilizzante. Questo effetto è tanto maggiore, quanto maggiore è il numero delle persone organizzate. Sul piano culturale, viene a mancare la pluralità di influenze e di scambi reciproci che è il presupposto di ogni creatività. La gioventù di oggi si trova in una situazione particolarmente critica. Se vogliamo stornare l’apocalisse che ci minaccia, dobbiamo risvegliare, soprattutto nei giovani, la sensibilità per i valori, per la bontà, per la bellezza: una sensibilità che è stata calpestata dalla mentalità scientista e dal pensiero tecnomorfo. Nel campo educativo la prima misura da prendere è sviluppare la «percezione delle forme», l’unica facoltà da cui possa nascere una sensibilità per le armonie. Ma la facoltà della «percezione delle forme» per funzionare a dovere ha bisogno, come ogni apparato di tipo compensativo, di essere alimentata da una grande quantità di dati. Per acquisire tali dati una delle vie più promettenti è il contatto più stretto possibile con la natura vivente, a partire da un’età il più possibile precoce.

DAL TESTO – “Se vogliamo davvero che i giovani d’oggi non disperino della presente situazione dell’umanità, dovremmo fare in modo che possano rendersi conto veramente di quanto è grande, di quanto è bello il nostro mondo. Oggi molti giovani pretendono di voltare le spalle a tutto ciò che sa di intellettualismo, e alcuni di essi ricorrono a droghe psichedeliche o diventano addirittura vittime di droghe pesanti; ebbene, questo è un sintomo di ciò che possiamo chiamare «la voglia di venirne fuori». Ma dovrebbe pur essere possibile far capire ai giovani che anche la verità non soltanto è bella ma è piena di mistero, e che non occorre darsi al misticismo per vivere delle meravigliose avventure.
“In un’epoca nella quale va di moda considerare la scienza un’attività umana indifferente per principio ai valori è comprensibile che lo scienziato si senta costretto a pretendere da se stesso un atteggiamento distaccato e acritico nei confronti dell’oggetto del suo tudio. Ma questa, ritengo, è una pericolosa forma di autoinganno. Tutti i biologi che conosco amano senza alcun dubbio l’oggetto dei propri studi, proprio come un uomo che ha la passione degli acquari ama i suoi pesci.”

 

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