Una fantascienza retroattiva. Così potremmo definire il libro di Naomi Oreskes e Erik Conway Il crollo della civiltà occidentale. Un titolo pesante, che spinge a riflettere su un presente futuribile verso il quale l’umanità potrebbe dirigersi, se non riesce a prendere seri provvedimenti dal punto di vista della sostenibilità ambientale.
La fantascienza, la letteratura fantascientifica, è da sempre in grado di ispirare innovazione tecnologica e nuove ricerche. La potenza dell’immaginazione ragionata apre nuovi scenari. É il caso di questo romanzo-saggio fantascientifico: una ricostruzione dal futuro, su avvenimenti già accaduti nel nostro presente.
I riferimenti all’attualità ci sono tutti. Il libro apre con un’introduzione degli autori che indica, tra gli altri, un evento importate che si è concluso qualche giorno fa. Si tratta del COP21 di Parigi, la XXI Conferenza delle Parti della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici. L’introduzione è una storia di come le nazioni abbiano o meno preso coscienza del fatto che il cambiamento climatico fosse veramente un problema, di come si siano cercate soluzioni e accordi. Nell’ottica del libro, si tratta di un antefatto alla storia che si sta per raccontare, proprio come in un romanzo fantascientifico. Il punto è che l’antefatto è reale, è la situazione attuale sul problema del cambiamento climatico.
Si crea così un intreccio temporale alla Ritorno al Futuro, in cui passato, presente e futuro si fondono inevitabilmente in una catena di necessità causa-effetto. Ciò che l’uomo ha fatto al clima, ciò che continua a fare, impatterà sul futuro del clima e quindi del pianeta. Come nella classica letteratura fantascientifica è l’intera terra ad essere in pericolo, l’unica differenza è che la terra, come gli scienziati hanno cominciato ad ammettere a partire dal 2004, è davvero in pericolo. Oggi la situazione si presenta come Giano bifronte. Da un lato c’è una maggiore presa di coscienza nei confronti di questo problema; dall’altro, alcuni Paesi si rifiutano ancora di accettare compromessi, pur trattandosi di un problema globale. Sembra chiaro che il passaggio ad una economia basata sul sistema green, a impatto ambientale ridotto o azzerato, deve avvenire anche per salvaguardare i possibili disagi dal punto di vista della disparità sociale e del benessere globale. In questo scenario reale emerge come Stati Uniti e Cina giochino un ruolo importante, in quanto maggiori produttori di gas serra al mondo. Entrambi i Paesi hanno siglato un accordo che li costringe a ridurre l’impatto ambientale rispetto agli anni precedenti. Molte nazioni occidentali sono scettiche nei riguardi della Cina, che non sarebbe in realtà disposta a modificare in senso sostenibile la propria economia, considerati i recenti tassi di crescita delle emissioni di gas serra.

Non è forse un caso che a raccontarci la caduta della civiltà occidentale sia proprio un giovane storico della Repubblica popolare Cinese che parla dall’anno 2393, trecento anni dopo il crollo della civiltà occidentale. In realtà, il governo cinese sta mettendo in atto iniziative reali atte a modificare la tendenza di crescita dei gas serra, attraverso una rimodulazione chiaramente economica verso energie rinnovabili. Perché in Cina e non ancora negli Stati Uniti? Il problema del cambiamento climatico ha impatto diretto anche sulla politica e in tal senso la Cina è in grado, molto più che gli Stati Uniti, di imporre cambiamenti repentini. Il governo cinese avrebbe già annunciato di voler controllare completamente il consumo energetico. Negli Stati Uniti il dibattito politico sul tema assume toni surreali dal momento che la controparte repubblicana del Governo ha spesso negato e continua a negare il problema del cambiamento climatico. Si configura così una situazione paradossale: un governo che si autoproclama portatore mondiale dei diritti sulla libertà non riesce, per via di problemi legati alla dialettica politica, a risolvere un problema di portata mondiale; mentre un governo a regime, capace quindi di assumere velocemente decisioni, a costo della libertà individuale, è in grado di affrontare il problema in maniera concreta. Questo è indice di come la questione del cambiamento ambientale abbia un diretto impatto sullo scenario politico mondiale, oltre che scientifico.

Ultimo accenno dell’introduzione, dell’antefatto di questa storia (fanta)scientifica è ancora alla COP21. Nelle parole degli autori non era ancora possibile prevedere cosa sarebbe accaduto durante la Conferenza di Parigi, che si è conclusa il 12 Dicembre di quest’anno. Oggi sappiamo che un accordo è stato raggiunto: limitare il riscaldamento globale tra 1,5°C e 2°C. Il che significa tagliare le emissioni di gas serra del 40-70% entro il 2050. Si spera che questo accordo riesca a modificare il processo che ha portato lo storico del futuro di Oreskes e Conway a raccontarci la fine della civiltà occidentale.
Il gioco letterario è sottile. Il crollo della civiltà occidentale sarebbe avvenuto nel 2093. Uno storico ricostruisce le cause della caduta del nostro presente. Una commistione tra fantascienza (futuro) e storia (passato), per tentare di comprendere meglio il nostro presente. Lo storico della seconda Repubblica Cinese vede le cause della caduta della nostra civiltà legate ad un problema culturale, che hanno portato ad un secondo Medioevo, al Grande Crollo e alla Grande Migrazione. La storia comincia e il lettore, date le premesse palpabili e le radici nel nostro presente, si chiede solo come andrà a finire.

Se l’intento degli autori è sensibilizzare e informare i lettori sul dibattito e sulle problematiche legate ai temi dell’ambiente, lo fanno attraverso un bel gioco letterario, avvincente e che coinvolge il lettore in uno scenario geopolitico post apocalittico, ma senz’altro futuribile. Il punto di vista del futuro consente di mettere meglio a fuoco avvenimenti che abbiamo vissuto forse di striscio, ma che ci sono molto vicini. Quello che per lo storico del futuro è storia relativamente antica, per noi è attualità, ma guardare agli avvenimenti presenti con sguardo critico è quanto mai complicato. Per tale motivo, per una buona divulgazione della problematica ambientale, affidarsi ad uno storico, seppur immaginato, restituisce una realtà analizzata con cura e nel dettaglio, la realtà cioè del cambiamento climatico. Gli autori fanno così toccare con mano le possibilità a cui andiamo incontro se non cominciamo a prendere provvedimenti condivisi.

Oggi, alla luce di ciò che emerge dal COP21, pare che il monito degli autori sia stato colto globalmente.
Se si cominciasse a leggere la storia senza conoscerne la premessa, si potrebbe avere l’impressione di trovarsi in uno dei capitoli della Trilogia della Fondazione di Isaac Asimov, immersi come siamo in sigle di conferenze, di organizzazioni mondiali, storie di politica, bio-politica ed economia. Ma i riferimenti ai disastri ambientali, antropogenici direbbero gli autori, che si sono susseguiti negli anni e si sono intensificati nell’ultimo decennio dell’anno 2000, ricordano al lettore che siamo ancora sulla Terra. Agli occhi dello storico la cosa difficile da rintracciare nel percorso della propria ricerca è come gli esseri umani del tempo (noi) non riuscirono, pur avendo tutto il necessario, ad attuare un cambiamento di direzione che avrebbe sicuramente dato esiti diversi da quelli accaduti, dal crollo totale della civiltà occidentale.

Perché il cambiamento climatico e i problemi ad esso legato hanno dato come esito la caduta di un’intera civiltà? Il clima impatta in maniera sensibile su tutto ciò che riguarda la vita sulla terra, se l’agricoltura crolla, l’economia e gli altri sistemi ad essa legati cadono gioco forza, il che porta cambiamenti profondi nell’assetto dell’intera società, anche a livello politico, essendo la politica inscindibile dall’economia. È un effetto domino. D’altronde quando si parla di clima, si parla di ecosistema, del funzionamento naturale della natura. Se gli interventi umani riescono a cambiare il corso della natura, gli effetti possono essere drammatici per la vita dell’ecosistema, e quindi dell’uomo stesso. Non si vuole “fare allarmismo”, si cerca solo di prevedere quello che potrebbe accadere in un futuro non troppo lontano se non si cambia direzione nei confronti dei problemi legati al cambiamento climatico. Il giovane storico parla chiaro: gli eventi accaduti, quelli che anche noi conosciamo bene, erano un campanello d’allarme che l’umanità, nelle figure dei suoi politici, avrebbe dovuto cogliere.
Per lo storico del futuro, che dà voce evidentemente al pensiero degli autori, il problema non venne affrontato in maniera completa anche per via dell’impostazione riduzionistica della scienza moderna. La scienza lavorava per compartimenti stagni, mancava una scienza “olistica” capace di affrontare i problemi di un sistema complesso. Il baluardo di questo modo di fare scienza era la gestibilità. Un problema molto complesso, come può essere quello del cambiamento climatico, che chiama in gioco molti campi del sapere scientifico, non veniva affrontato ma gestito. Mancava dunque una comunicazione adeguata tra le diverse discipline, che avrebbe anche dovuto tenere in considerazione gli impatti sociali e non solo scientifici della questione. Ancora una volta, la buona comunicazione e collaborazione tra diverse discipline del sapere avrebbe potuto salvare la situazione. Come ogni buono storico, il giovane cinese decide di lasciare in chiusura un lessico dei termini arcaici utilizzati, in modo da far capire al lettore quale fosse il nostro modo di vedere le cose. Si trovano così nuove definizione di termini di uso comune, come Ambiente, Mercato, Energie Rinnovabili ad esempio. É facile immaginare come, in un mondo trasformato da una apocalisse climatica, i termini si modifichino e si ricoprano di senso nuovo.
Oggi abbiamo la possibilità di lasciare questa storia nel capitolo della fantascienza, della pura immaginazione. La COP 21 ha aperto una nuova strada di collaborazione in questo senso. L’umanità si può ancora salvare.

Salvatore Marazzita

 

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