“Sì, viaggiare” cantava Battisti anni fa. Ma c’è modo e modo di viaggiare. Ci si può aggregare a una comitiva per un tour organizzato e scivolare sulle mete con la consistenza e la velocità dell’olio, si possono visitare monumenti e opere d’arte concedendo loro una fugace occhiata, oppure si può viaggiare per conoscere un luogo, farlo nostro incontrando gli abitanti, vivendo e mangiando con loro di modo che un po’ della loro anima poi ci appartenga. Questa regola vale oggi come valeva cento anni fa, quando i viaggiatori usavano mezzi meno veloci e più rudimentali dei nostri. Il rapporto spirituale con la meta a cui si dovrebbe tendere rimane immutato, atemporale, prezioso e necessario per un arricchimento del proprio spirito. E per farlo occorre informarsi sulle caratteristiche del luogo scelto, sulla lingua, gli usi e i costumi e poi provarli sulla propria pelle fino a sentirne nostalgia al momento di ripartire. Il mondo, con le sue molteplici sfaccettature e sfumature, è variegato e multiforme, ma è nella Natura che il viaggiatore può scoprirne il vero cuore. Nell’intrico degli alberi di una foresta, nella maestosità del mare, nei suoni cristallini della campagna, nelle increspature delle onde di un lago di montagna, nel volteggiare silenzioso di un’aquila. Ci si deve immergere per poter tornare in superficie e sentire di nuovo il proprio respiro. Il vero viaggio, che è un vagabondare, domanda umiltà, volontà di ascolto e conoscenza; esige il rispetto per l’altrui diversità che, alla fine, diventerà un ricco dono che ci sarà dato in cambio del tempo speso assieme…
In una raccolta di articoli redatti durante il primo ventennio del Novecento e che precedono la stesura di Siddharta, del quale sono in qualche modo lavoro preparatorio, il premio Nobel Hermann Hesse riunisce il pensiero ascetico del suo viaggiare, che diventa movimento e crescita spirituale ad ogni meta raggiunta. Nel vagabondare sta l’arte di immedesimarsi negli altri, nel farlo camminando si cela il segreto per scoprire la bellezza di un luogo sconosciuto e trattenerne l’essenza. È solo conoscendo un luogo e vivendo con i suoi abitanti che si può comprendere appieno e imparare, per poi dire di averlo vissuto veramente. L’incontro con il diverso arricchisce e completa, non accade mai il contrario e questo è un tema quanto mai attuale. Chi arriva da noi oggi non è più considerato un ospite, ma un invasore, anche se lui stesso sta fuggendo dalla guerra. Questione di prospettive, che però non sono cosa blindata. Nei primi anni del Novecento, il viaggio è ancora un tempo lento. Hesse si sofferma sui dettagli della Natura, sulla bellezza che è tale proprio perché mutevole e caduca. Ma è proprio questo a colpirci e a nutrire la nostra anima. Al cospetto di tale bellezza proveremo una malinconia necessaria ma priva di dolore. Il vagabondo è un viaggiatore pacifico, che si sofferma e si innamora di un luogo e della sua gente e poi riparte, tenendo per sé un ricordo e un’immagine a lui cara. I vagabondi non esistono quasi più, ormai. Travolti dalla velocità della tecnologia che ferma gli istanti e subito li rende pubblici senza dar loro il tempo di decantare, sono scomparsi o viaggiano di nascosto, senza più osare tendere la mano al prossimo.
Lorenzo Brollo