La parabola di Charles Péguy da socialista a sincero nostalgico della Francia medioevale e cristiana

È probabile che il socialismo (quello utopistico come quello con pretese di scientificità) non sia stato altro e ancora altro non sia che giudeo-cristianesimo secolarizzato e corrotto e tradito. Un’eresia, insomma. Vi sono notevoli e numerose dimostrazioni, e le più efficaci sono state le tante “conversioni” di comunisti e socialisti, i ritorni alla Chiesa dell’infanzia dopo la giovinezza spesa nella chiesa profana e ambiziosa, l’affidarsi agli unici dogmi accettabili, che sono religiosi e non politici.
Fu anche la parabola di Charles Péguy, poeta e saggista nato a Orléans nel 1873. Sedotto giovanissimo dal pensiero di Bergson, indirizzò il suo slancio vitale verso il socialismo laicista e rivoluzionario; si dedicò alle opere di Proudhon, sostenne con forza la causa dreyfusarda. Certo, non fu un socialista ortodosso, già tendeva al misticismo. Per lui il socialismo era un mezzo, mai un fine a sé, né una fredda e rigorosa regola dialettica. La vera urgente rivoluzione, secondo lui, era principalmente morale. Tutte idee che non piacevano molto al partito, dal quale Péguy, a poco a poco, si allontanò. Per tornare infine, come dicevamo, alla fede cattolica; scelta che lo isolò ancora di più dal bel mondo del radicalismo francese e gli procurò perfino grattacapi con la moglie.
Scrisse poi grande poesia richiamandosi alla tradizione dei Misteri medioevali, saggi, dialoghi e diresse la rivista “Cahiers de la Quinzaine”. Si trattava di quaderni monografici, affidati ad autori di differenti fedi politiche e religiose. Nel 1913 toccò a un uomo molto caro a Péguy; si trattava di Theodore Naudy, direttore della Scuola Normale. Merito di quel generoso pedagogo, incarnazione delle più alte virtù francesi, se un bimbo povero come era stato Péguy aveva ricevuto un’istruzione così preziosa.
Per introdurre il saggio del suo benefattore, scrisse allora un piccolo pamphlet, intitolato “L’argent“. “Denaro” è da poco disponibile anche per il pubblico italiano, grazie al fiuto e all’intraprendenza della toscana Piano B edizioni.
In realtà lo sfogo dello scrittore, intenso, sciolto e volutamente ripetitivo, non ha propriamente per oggetto il denaro. Ne parla poco e soprattutto si tiene lontano da ogni denigrazione mistica dei beni materiali. Il denaro non è sterco del demonio per Péguy ma cosa «sommamente rispettabile». Non si può vivere senza, dunque è «più rispettabile del potere». Non è mai disonorevole «quando rappresenta il salario», equilibra uno sforzo.
Detto questo, lo scrittore si lancia nella polemica politica contro Jean Jaurés, perfetto esempio di socialdemocratico della Terza Repubblica, internazionalista e pacifista. Nel finale salda i conti anche con un accademico laicista reo di averlo denigrato in una recensione; (probabilmente la parte meno rimarchevole del libello).

Luca Negri

 

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