Robert Louis Stevenson è il noto autore de L’isola del tesoro e de Lo strano caso del Dr. Jekyll e Mr. Hyde. Il libretto pubblicato, senza l’indicazione di un curatore, dalla casa editrice Piano B di Prato raccoglie invece una parte della produzione saggistica dell’autore, iniziando, cronologicamente da quel La filosofia dell’Ombrello che risale agli anni universitari di Stevenson.
I saggi di Stevenson pubblicati in questo agile libretto vanno considerati in due modi. Il primo riguarda il loro effettivo trattare temi di carattere filosofico generale, e la loro validità speculativa, in questo caso. Il secondo sta nel considerarli non solo come specchio e parte integrante di un autore più noto per il successo della sua letteratura “popolare” che per la sua opera di saggistica.
Certo Stevenson non è integralmente un filosofo; dai suoi scritti, esaminandoli nel complesso, non si ricava l’idea di un pensiero compiuto; tuttavia, per chi volesse conoscere l’insieme della cultura vittoriana anche i saggi di Stevenson possono contribuire a chiarire i rapporti tra letteratura e pensiero.

Il saggio che dà il titolo alla raccolta è ironico. In realtà, la “filosofia dell’ombrello” si basa su una constatazione che sarà poi utilizzata da Freud ne L’interpretazione dei sogni; ossia il valore simbolico dell’ombrello, come oggetto e come immagine. L’ombrello simbolo della moderna rispettabilità ottocentesca, dell’etica del decoro e del lavoro che nulla, nemmeno la pioggia battente può fermare, è un vero e proprio sigillo di classe, che tant’è vero, in alcuni paesi come il Siam è di pertinenza del re e dell’aristocrazia. Questo allegro divertissement, completo di considerazioni meteorologiche (come mai quando si porta con sé l’ombrello non piove e viceversa?) si accompagna ad un altro saggio, Sul carattere dei cani, che ci riporta ad un genere particolarmente amato dagli inglesi, quello delle biografie di animali domestici.  Questo saggio, scritto in uno stile che ricalca i Tipi di Teofrasto, sarebbe difficile da classificare, se una frase nella parte finale del testo non fosse particolarmente illuminante: “Leggo nelle vite dei nostri compagni gli stessi meccanismi della ragione, gli stessi antichi e fatali conflitti tra ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, e la lotta tra la natura indomita e costumi troppo rigidi; li vedo con le nostre debolezze, verità, menzogne, con la nostra stessa incostanza negli appetiti e con il nostro esile filo di virtù, devoti al sogno o a un ideale e tuttavia, mentre per strada mi si avvicinano in tutta fretta con la coda alzata […], devo riconoscere che per l’uomo il significato segreto delle loro vite è ancora imperscrutabile”. (p. 38) Gli animali, cui Stevenson attribuisce sentimenti e ragionamenti quasi umani, per lui non sono come per Cartesio, o anche per lo stesso Hegel, delle macchine prive di ragione, ma il loro relazionarsi con l’uomo implica un’interazione e una forma di comunicazione non verbale, ma egualmente efficace nel cogliere non solo le differenze di sesso dei loro accompagnatori umani, ma anche quelle di ceto. Certo l’opinione dello scrittore non si accorda con le conoscenze attuali dell’etologia, se non per il riconoscimento di un imprinting reciproco.

Più legati alla cultura ottocentesca sono Vecchiaia scorbutica e Gioventù, Una difesa dei pigri e Conversazioni e Conversatori. Il primo ha una componente autobiografica, nel descrivere i rapporti tra vecchi e giovani adombra la relazione tra Stevenson e il padre. La chiave di lettura psicologica del tema è quello dell’ascolto: fu durante una lunga conversazione (simile probabilmente a quelle descritte nel testo) che Stevenson annunciò al padre di non avere intenzione di proseguire gli studi di ingegneria, ma di volersi dedicare a tempo pieno alla letteratura (per compiacere il padre, ottenne una laurea in legge che utilizzò pochissime volte durante la vita). Il desiderio di Stevenson di intraprendere una strada completamente diversa dalla tradizione famigliare è legata all’irrazionalità e all’imprudenza propria dei giovani, senza le quali tuttavia non si compiono grandi imprese e il mondo non progredisce. La vecchiaia, per i pochi fortunati che riescono a raggiungerla  è invece la stagione del ripensamento e della nostalgia, che nella maggior parte dei casi, tuttavia, non riesce a diventare saggezza, specie laddove prevale il rimpianto. Il tono è leggero, ma l’autore è convinto che nelle ragioni degli uomini ci sia tutta la verità e nessuna: alla vita umana manca un centro e un senso complessivo. Anche in Una difesa dei pigri si percepisce il pessimismo esistenziale dell’autore: in quest’opera giovanile assistiamo, apparentemente alla difesa della vita bohemienne scelta dall’autore, che non lavora e non produce come ci si aspetterebbe da un giovane della sua classe sociale e della sua educazione.  Alla vita attiva, simbolo di un’Inghilterra lanciata dalla rivoluzione industriale al dominio del mondo, Stevenson contrappone non le gioie dello studio, descrivendo anzi in termini sprezzanti la cultura libresca delle Università che produce “utili idioti” del tutto privi di esperienza, ma la contemplazione della natura, la riflessione, insomma l’otium degli antichi, in contrapposizione all’attività frenetica, ma priva di un senso complessivo, che rende gli uomini simili a zombies che sopravvivono solo dedicandosi a qualche attività. La società dell’epoca era basata sull’attività, sulla positività del lavoro come descrittore fondamentale del ruolo sociale degli individui, senza il quale non si può costruire il benessere collettivo, ma questi miti progressivi sono poco significativi per l’autore. Lo stesso atteggiamento contemplativo si riscontra nei bozzetti che ritraggono gli intellettuali la cui conversazione si rivelò particolarmente rilevante per la formazione di Stevenson: tra gli altri il cugino Robert Alan Mowbray Stevenson, capace delle conclusioni più paradossali, o il poeta William Ernest Henley, amico dell’autore, che, per aver subito l’amputazione di una gamba a causa della tubercolosi, ispirò la figura di Long John Silver ne L’isola del tesoro.

Un altro saggio giovanile, Come apprezzare i luoghi sgradevoli, riprende un tema caro alla letteratura romantica e preromantica, la rispondenza del paesaggio ai propri stati d’animo secondo il modello classico dell’idillio. La sensibilità dell’autore in materia si esprime attraverso un’esercitazione al contrario. Si sofferma su un paesaggio che lui definisce sgradevole: piatto ventoso e nudo, l’ambiente del nord rende temprate alla fatica e alle intemperie le persone che lo abitano, ma inaspettatamente offre a chi lo osserva una sensazione di pace, tanto nel sentirsi protetto quando si trova all’interno di un’abitazione, quanto nel trovarsi al sicuro in un angolo o in una caletta mentre il vento è calato.
Pulvis et umbra infine, riprende in modo più radicale il pessimismo che più volte emerge nei testi: “L’uomo è infatti destinato a fallire nei suoi sforzi tesi a fare il bene” (p. 128) anche là dove gli uomini si sforzino a vivere con onore e virtù. Stevenson aggiunge che una nuova dottrina, l’evoluzionismo, si è incaricata di mostrare scientificamente come l’uomo non abbia uno scopo né un destino, e come tutto il creato sia sottoposto allo stesso sforzo vano. Solo questo giustifica la sua esistenza.

Ho trovato interessanti i saggi di Stevenson, in parte per lo spaccato che offrono sulla cultura e sui meccanismi di formazione del pensiero nell’età vittoriana e in secondo luogo perché mi interessa una filosofia che affronta anche gli aspetti quotidiani dell’esistenza, in modo non sistematico e con un approccio più semplice.  Stevenson, infatti, prima di essere il narratore abilissimo nel costruire storie accattivanti, era un acuto osservatore dei costumi e della natura umana che descriveva con entusiasmo e vivacità giovanili.  Nei suoi scritti, dallo stile ora asciutto ora involuto e iperbolico, si trovano echi di quella common sense morality che permea la cultura ottocentesca inglese alla ricerca di un fondamento comune laico, che risponda alle domande ricorrenti sul senso della vita. Questi esercizi filosofici potranno interessare il lettore non specialistico ed essere una curiosità per chi si occupa di filosofia professionalmente.

Antonella Ferraris

http://www.recensionifilosofiche.it/crono/2011-03/stevenson.htm